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foto Giovannelli

Il conferimento della laurea honoris causa, almeno per come la intende rigorosamente chi vi parla, non è l’attribuzione di un premio alla carriera, ma il modo, consacrato dalla tradizione, per onorare, con un raro riconoscimento accademico, l’alta dignità intellettuale di chi è chiamato a indossare la toga dell’antico Ateneo genovese. L’autorevolezza delle scelte assunte dev’essere, di per sé, evidente.

E’ il caso della delibera relativa al nostro laureando, il quale ha già ricevuto svariati riconoscimenti da associazioni giornalistiche e imprenditoriali internazionali, dando, fino ad oggi, seria prova della sua volontà e capacità di legare con successo, pur fra tante difficoltà, il momento dell’azione politica e quello della riflessione culturale; dimensioni che non in tutti i leader appaiono così strettamente connesse.

È arduo sintetizzare il percorso intellettuale e istituzionale del Professor José Manuel Durão Barroso, che ha indotto chi vi parla a proporlo per la laurea honoris causa in Scienze Politiche.

Un denso itinerario umano lo ha portato infatti, in un tempo relativamente breve, dall’attardato finis terrae salazarista, al vertice della nuova democrazia lusitana e infine al cuore stesso della politica europea.

Confido ora che chi mi conosce perdoni l’inusuale scelta della lettura, che, se può togliere vivacità alla laudatio, vuol esprimere insieme doveroso rispetto per l’autorevole laureando, di cui mi permetto di ricostruire brevemente l’esperienza, facendo un po’ ricorso alla tecnica dei macchiaioli. Altrettanto rispetto esprimerà certo l’attenzione di quanti partecipano alla cerimonia.

Barroso non ha ancora compiuto cinquant’anni: è dunque un leader giovane, come – consentitemi – deve sapersi permettere un continente capace di guardare al futuro.

Confido che la sua nota capacità di intuire e cogliere al volo le occasioni politiche, valga anche per quelle collettive di un’Europa che deve presto riprendere il suo cammino.

Barroso, nato in piena dittatura, nel 1956, ha iniziato a Lisbona i suoi studi universitari, nella fase agonica del regime, sotto il Governo di Marcelo Caetano, mentre la difesa del controllo portoghese su vaste porzioni dell’Africa diventava sempre più vana e sanguinosa. Prima ancora del 25 aprile 1974, Barroso si è fatto conoscere all’Università per la sua coraggiosa militanza terzomondista e, dopo la rivoluzione dei garofani, è stato eletto presidente dell’organizzazione degli studenti, pomposamente denominata Associazione accademica della Facoltà giuridica di Lisbona.

In quegli anni, entusiasmanti ma confusi per il Portogallo, decidendo di dar priorità alla formazione accademica, egli si è laureato in patria, nel 1978, quindi è andato a specializzarsi all’Università di Ginevra, ove è stato presto chiamato a insegnare scienze politiche. La tesi sul sistema politico lusitano di fronte al processo di integrazione continentale, discussa da Barroso nel Master ginevrino in studi europei, costituirà poi la base del volume pubblicato a Lisbona e Losanna nel 1983, due anni prima della firma del Trattato di Adesione del suo Paese alla Comunità. L’Europa – va detto subito – è un fil rouge tematico spesso individuabile, sottotraccia, nelle analisi del nostro laureando.

Nell’insieme, Barroso ha assorbito criticamente il meglio della cultura occidentale, frequentando, in vari momenti, master alla Georgetown University di Washington, alla Columbia University di New York, all’Istituto di Studi internazionali in Lussemburgo e una Summer School al prestigioso Istituto universitario europeo di Firenze. Ha così avuto la fortuna di incontrare, in sede accademica, significative personalità, che sono ancor oggi al centro del dibattito sui maggiori problemi del mondo contemporaneo.

Se il suo primo saggio, del 1979, verteva sul controllo di costituzionalità delle leggi durante la transizione democratica lusitana, già l’anno successivo egli ha organizzato un sondaggio di opinione, secondo la metodica dell’ Eurobarometro, a quei tempi ancora estranea al Portogallo.

I suoi interessi scientifici si sono infatti focalizzati progressivamente sulla scienza politica e, insieme al giovane Pedro Santana Lopes, brillante negli studi quanto effervescente nella vita notturna, il serio Barroso ha pubblicato nel 1980 un volume, ancor oggi importante, in cui l’approccio formale al sistema di governo portoghese si coniuga con l’analisi degli elementi fattuali che incidono sulla dialettica istituzionale.

In tale opera, Barroso dà prova di sapersi confrontare con la grande dottrina francese, in quegli anni particolarmente creativa, senza lasciarsi però imprigionare negli schemi interpretativi di Maurice Duverger, che anzi contribuisce a far evolvere, evidenziando i fattori storici e politico-culturali che spingono il Portogallo verso una dinamica parlamentaristica anziché presidenziale.

Proprio dal grande Maestro parigino sarà poi invitato a presentare una relazione al fondamentale convegno internazionale del 1983; l’analisi del giovane Barroso sui complessi rapporti fra il Presidente lusitano e la maggioranza parlamentare, che verrà successivamente pubblicata nel 1986, gli sarà più avanti molto utile, nelle fasi in cui, come vedremo, diventerà uno dei protagonisti della diarchia istituzionale portoghese, godendo di fatto di un indubbio vantaggio rispetto ai politici muniti di un “manuale per l’uso” scritto da altri.

Nella prima metà degli anni ‘80, il rapporto di Barroso con l’Università di Ginevra sembra comunque quello più fertile. Egli ha infatti partecipato, sotto la guida di Dusan Sidjanski, a una vasta ricerca sui partiti politici e i gruppi di interesse in Europa, concentrandosi sulle società portoghese, spagnola e greca, tutte uscite nel decennio precedente dalla dittatura.

In uno studio pubblicato poi in Italia nel 1984, egli ha spiegato perchè, contrariamente a diffuse previsioni, tali Paesi abbiano sviluppato una competizione politica essenzialmente centripeta.

Questa ricerca gli ha fornito strumenti intellettuali, che si sono rivelati preziosi, per comprendere anche le successive transizioni dei Paesi post socialisti, con i quali, investito di alte responsabilità politiche nazionali, Barroso si è trovato, in seguito, a dover discutere l’allargamento dell’Unione europea.

Da analista dell’opinione pubblica, egli ha altresì intuito le differenze dei processi di democratizzazione sviluppatisi nell’est durante gli anni ’90, rispetto a quelli dei Paesi iberici, entrati nell’Unione europea alla fine della loro parabola nazionalistica e non dopo una fase di soggezione quasi imperiale.

Dai Paesi dell’Europa centro-orientale Barroso è stato poi sostenuto nella successione alla Presidenza della Commissione europea e ha difeso le loro giuste esigenze, durante la recente, dura battaglia sulle prospettive finanziarie dell’Unione.

Circa il profilo scientifico del nostro laureando, va osservato che la letteratura di riferimento è divenuta, nel tempo, prevalentemente quella anglosassone e il suo nome sempre più conosciuto, per la pubblicazione di vari lavori in prestigiose riviste internazionali. Nel 1985, egli ha fondato inoltre la “Revista de Ciência Política” di cui è divenuto il primo Direttore.

Accanto all’impegno scientifico, si è sviluppato quello politico, che lo ha portato nel 1985 in Parlamento, quindi, a soli 29 anni, alla carica di Segretario di Stato aggiunto presso il Ministero degli Interni. Si è avviata allora una fase decennale di intensa collaborazione operativa col Capo dell’Esecutivo portoghese, Aníbal Cavaco Silva, che – osservo per inciso – il 9 marzo prossimo assumerà le funzioni di Presidente della Repubblica.

Tornando al passato, ricordo che Barroso è poi divenuto, nel 1987, Segretario di Stato alla Cooperazione presso il Ministero degli Esteri, impegnandosi a fondo, in prima persona, nei difficili tentativi di pacificazione delle ex colonie portoghesi in Africa e per far conoscere al mondo il grave problema di Timor Est.

E’ però riuscito – direi miracolosamente – a continuar ancora le sue ricerche sull’evoluzione della società lusitana, pubblicando, nel 1987 in Portogallo e l’anno successivo in Spagna, un saggio fortemente influenzato dai concetti luhmaniani di sistema politico e di differenziazione sociale.

Nel 1992 Barroso ha rappresentato il suo governo a Roma, alla firma degli accordi di pace per il Mozambico. L’anno successivo, è stato nominato Ministro degli Esteri, sostituendo in tale carica João de Deus Pinheiro, chiamato a far parte della Commissione europea di Jacques Delors.

Il Presidente portoghese nei rapporti col quale Barroso ha dovuto, in tal fase, metter in atto tutti gli accorgimenti appresi studiando la teoria duvergeriana della “cohabitation”, è stato Mário Soares, un’altra grande personalità per la quale, da giovane Preside, ho avuto l’onore di deliberare, proprio a quei tempi, la laurea honoris causa. E, da Mario Soares, ho oggi l’incarico di porgere le più vive congratulazioni al nostro autorevole laureando.

Dal 1993, il Prof. Barroso, analista dei rapporti politici, è divenuto a sua volta oggetto di studio e, in quanto responsabile del Dicastero costituente la più sensibile spia istituzionale degli equilibri del sistema portoghese, è finito sotto la lente dei teorici del c.d. semipresidenzialismo, un modello che, proprio in tali anni, iniziava la sua travolgente quanto effimera stagione di successo in Italia.

Mentre Barroso era il responsabile della politica estera lusitana, ha coordinato la delegazione della Presidenza dell’Unione europea alla conferenza ONU sull’ambiente e lo sviluppo; nella stessa fase si collocano la Conferenza per varare il Patto di stabilità e la Presidenza portoghese dell’UEO. Ha poi firmato, per il suo Paese, gli accordi europei con Romania, Bulgaria, Repubbliche Slovacca e Ceca, il Trattato di adesione di Austria, Finlandia e Svezia e l’accordo di partenariato Europa-Russia. Barroso ha sviluppato altresì un forte impegno sul piano della collaborazione euromediterranea e nei rapporti con l’America Latina.

Ha infine partecipato alla Conferenza intergovernativa per la revisione e la proroga del patto di non proliferazione nucleare. È un’esperienza che forse gli tornerà preziosa, in un difficile contesto internazionale, il quale richiede particolare saggezza.

Poiché la vita è prodiga di sorprese per tutti, in un caso persino il nostro laureando ha perso una battaglia politica: quella del 1995 all’interno del suo partito, di cui ha abbandonato il Consiglio nazionale.

In seguito alle legislative, in Portogallo si è poi realizzata anche l’alternanza e Barroso, ormai deputato dell’opposizione, ha presieduto per alcuni mesi la Commissione Affari esteri del Parlamento.

In quella fase, non priva di tensioni, Barroso ha deciso presto di rifugiarsi nella vita accademica, accettando un invito a insegnare presso la Georgetown University di Washington. Successivamente ha assunto la Direzione del Dipartimento di Relazioni internazionali dell’Università Lusíada. Egli è entrato inoltre a far parte del comitato scientifico di importanti riviste di politica internazionale.

L’intensa fase vissuta nell’Esecutivo portoghese, se non ha intaccato il metodo, ha però mutato il centro degli interessi del ricercatore e, nelle sue pubblicazioni, sono apparsi temi nuovi, destinati a diventar progressivamente prevalenti.

Barroso ha infatti scritto, dapprima, vari saggi e un volume sulla pacificazione dell’Africa e su temi della cooperazione allo sviluppo, poi due studi sulla politica estera portoghese.

In questi lavori mi sembra prevalga, nell’insieme, l’esigenza di ripensare le esperienze vissute, dando ad esse ordine e senso compiuto, traendone conseguenze e prospettive di azione per il futuro.

Con due volumi del 1999 e del 2000, all’impostazione politologica si è sostituita definitivamente una riflessione a tutto campo sul ruolo e lo sviluppo socio-economico del suo Paese.

Nei numerosi scritti che continua a pubblicare negli anni di più alto impegno istituzionale, mi pare possa complessivamente dirsi che la propensione analitica del professore universitario manifesti sempre un’apprezzabile capacità di influenzare le proposte programmatiche, resistendo, più del consueto, alle suggestioni della troppo accattivante comunicazione politica.

Circa le prospettive dell’integrazione continentale, mi permetto di ricordare che, in uno studio del 2000, “O indispensável equilíbrio europeu”, Barroso ha preso posizione sul dibattito costituzionale dell’Unione, affermando, in tempi non sospetti: «è essenziale al metodo comunitario l’esistenza di una Commissione capace di svolgere un ruolo indipendente e sovranazionale». Esigenza sostanzialmente ripresa nel discorso tenuto al Parlamento di Strasburgo il 21 luglio 2004 e che certo sente oggi, con forza ancor maggiore, mentre cerca, ogni giorno, di dare ad essa una difficile risposta.

Personalmente confido comunque che la parola “sovranazionale”, scritta allora dal Professor Barroso, torni a echeggiare con forza, anche oggi, nei suoi discorsi sul processo di integrazione continentale.

Tornando al cursus honorum, va detto che, con le elezioni del 2002, il Partito socialdemocratico, di cui è nel frattempo divenuto Presidente (al posto di un altro collega dell’Università di Lisbona), ha vinto le elezioni, proiettando il suo leader sulla poltrona di Primo ministro.

Barroso è però destinato, ancora una volta, a operare in un contesto di coabitazione istituzionale con un Presidente socialista (questa volta Jorge Sampaio). È un’esperienza, anche psicologica, che tutto sommato gli torna oggi utile, al vertice della politica europea, nella quale molteplici linee di frattura si intrecciano e si sovrappongono, costringendo a uno sforzo di mediazione continua.

Prescindendo, in questa sede, dagli aspetti, pur rilevanti, di politica interna, fra i quali mi limito a ricordare il riconosciuto impegno per il contenimento della spesa pubblica, va ricordato che, da Primo Ministro, Barroso ha firmato i Trattati di adesione dei dieci nuovi partners dell’Unione, ha partecipato ai Consigli inerenti la Convenzione sul futuro dell’Europa e alla Conferenza intergovernativa per l’adozione del Trattato costituzionale.

In breve tempo, il giovane Primo Ministro portoghese è riuscito a suscitare, tra i leader del continente, stima per la sua preparazione, per l’impegno e le capacità negoziali, simpatia per lo stile vivace e informale, elementi che, insieme alla versatilità linguistica, propiziano, a breve, la sua proiezione alla scomoda ma cruciale Presidenza della Commissione europea.

È curioso notare, a questo proposito, che quando, all’inizio dell’estate 2004, in vista della nomina alle attuali funzioni di Bruxelles, Barroso ha fulmineamente annunciato – in un Portogallo travolto dall’eurocoppa di football – le sue dimissioni dalla carica di Primo Ministro, ha passato la mano proprio al Sindaco di Lisbona Santana Lopes, col quale aveva stabilito, nel tempo, un rapporto politico alternativamente competitivo e collaborativo.

Ve lo ricordate? È il giovane coautore, insieme al ventiquattrenne Barroso, del volume sulla forma di governo portoghese, dal quale è partita questa sintetica carrellata.

Proprio a Santana Lopes tocca firmare a Roma, per conto del Portogallo, il Trattato costituzionale di cui è purtroppo bloccata la ratifica.

Il primo impulso alla nomina europea di Barroso viene da Regno Unito, Italia e Polonia, sostenuti dai piccoli Paesi dell’Unione.

E’ un’aggregazione che, rafforzata dal sostegno spagnolo del Governo Zapatero, riesce a vincere le iniziali resistenze del Belgio (il quale candidava il suo Primo Ministro), quelle di Francia e Germania Federale.

Circa il rapporto stabilitosi poi con tali ultimi grandi Paesi, ricordo solo che, nel suo discorso dell’11 maggio 2005 al Parlamento europeo, Barroso, ormai Presidente della Commissione, riconosce addirittura che, attraverso la collaborazione con Berlino, Parigi può tornare ad assumere la leadership culturale e morale del continente, aggiungendo inoltre che non v’è rinascita dell’Europa senza una Germania spiritualmente grande.

Proprio dalla nuova Cancelliera tedesca Angela Merkel, la linea di Barroso verrà infine appoggiata, nel recentissimo braccio di ferro col suo amico Tony Blair, sul progetto di bilancio europeo 2007-2013. E questa mi pare una significativa prova della capacità di non farsi condizionare dalle ipoteche del passato.

L’esperienza del nostro autorevole laureando, insieme universitaria e istituzionale, ricorda quella del suo predecessore alla Presidenza della Commissione europea, da cui pure si differenzia per alcuni tratti politici e del background culturale. Comune è l’attitudine a cogliere i problemi nella loro complessità, affrontandoli senza far sconti a nessuno.

Il momento in cui Barroso diventa Presidente della Commissione e lo sfondo politico del suo primo anno di lavoro sono, se possibile, ancor più difficili di quelli in cui aveva iniziato a svolgere le stesse funzioni Romano Prodi.

Agli strascichi delle divisioni sulla guerra in Iraq e alle difficoltà nel rapporto trans-atlantico, si aggiunge l’accentuarsi del “blame game”, di chi usa spregiudicatamente l’Euro come alibi demagogico per le difficoltà e le inadempienze interne. L’esito nefasto del referendum in due Paesi fondatori blocca – spero solo temporaneamente – la costituzionalizzazione dell’Unione. Sulle prospettive finanziarie europee sono sprizzate scintille tra l’Inghilterra e la Francia. Il cortocircuito rischia di far saltare il motore dell’integrazione, proprio mentre il Presidente della Commissione manovra per fargli cambiar marcia.

Per non parlare delle manifestazioni nel mondo islamico, che hanno provocato la recentissima, equilibrata e insieme forte dichiarazione di Barroso al Parlamento europeo. Dichiarazione in cui mi sembra di poter cogliere l’eco di quanto affermato dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi, tre settimane dopo l’11 settembre: il dialogo euro-arabo deve poggiare su una duplice premessa, «il riconoscimento, da parte di ciascuno, dell’identità culturale e religiosa e delle conseguenti regole dell’altro, la volontà comune di edificare una società nuova, fondata sulla giustizia e il rispetto dei diritti dell’uomo».

Confido che il Presidente Barroso, il quale – osservo per inciso – ha appena ricevuto il Primo ministro algerino, sappia dare il necessario impulso a un dialogo che è vitale per il destino di tutti.

Se non è ancora venuto il momento di sostituire l’urlo di Munch alla bandiera con le dodici stelle, è certo che dall’euro-entusiasmo si è passati repentinamente a un clima di “tristezza”, come lo stesso Presidente della Commissione ha riconosciuto, celebrando il 50° anniversario della Conferenza di Messina.

Il sogno europeo sembra illuminarsi di sfumature inattese, come se l’energia dell’alba si confondesse, ambiguamente, col languore del crepuscolo.

Spero vivamente che il nostro laureando portoghese contribuisca quanto meno a mutare, con i fatti e con la sua notevole capacità di comunicazione, la crescente malinconia del nostro continente in “saudade”, cioè in quel sentimento positivo, a mezza strada tra l’acuta memoria del passato e il vivo desiderio del possibile, che gli scrittori lusitani chiamano “nostalgia di futuro”, con un ossimoro poetico particolarmente adatto per quell’ossimoro politico che è ancora la costruzione europea.

Se l’integrazione è fino ad oggi avanzata nel faticoso bilanciamento tra l’irruenza degli idealisti e la concretezza dei pragmatici, non credo basti semplicemente aspettare che passi “’a nuttata”. Francamente non so se, nelle presenti condizioni, un eventuale trauma internazionale e magari uno choc energetico metterebbero in moto un riflesso federatore o innescherebbero piuttosto la spirale devastante del “si salvi chi può”.

La Commissione, con i suoi ancor troppo limitati poteri, ha certo il compito di far avanzare l’agenda europea, ma alla società civile e in particolare alla nuova generazione spetta quello di reagire allo sconforto dilagante e alla rassegnazione di una politica che non è capace di uscire dal labirinto.

Spero che il Presidente Barroso possa trarre nuove energie dall’incontro con gli studenti che partecipano al programma Erasmus, il vero grande laboratorio dell’ancor fragile identità europea.

Un uomo che era una giovane matricola, quando è nata la democrazia nel suo Paese, può comprendere bene quanto i nostri giovani, che hanno scalato ad un tempo il crinale dell’adolescenza e quello del millennio, abbiano fame di futuro e sentano bisogno di un’Europa più democratica, più vicina.

Spero vivamente che, non solo oggi, sappia ascoltarli e spero altresì che sappia rivolgersi, da leader, tanto alla loro mente che al loro cuore.

Circa l’operato della Commissione Barroso, appena decollata tra i venti impetuosi che investono il nostro continente, non vorrei anticipare, in sede accademica, valutazioni che potremo seriamente esprimere solo a volo ormai compiuto. Confido però che la quota raggiunta sia presto tanto alta da elevarsi sopra le nuvole che oggi offuscano l’orizzonte europeo.

Mi permetto di proporvi solo, fra i tanti meritevoli di interesse, un tema cruciale per i nostri giovani, al quale il Presidente Barroso sta personalmente dedicando grandi e positive energie: la strategia di sviluppo nota come strategia di Lisbona. La sua ripresa è resa urgente dalle sfide di un’economia sempre più globalizzata, che ci impone forti processi innovativi e interventi per la maggiore competitività del Sistema Europa (argomento affrontato a Bruxelles, ieri, nell’incontro con un altro nostro laureato honoris causa, Luca Cordero di Montezemolo).

Mi limito a ricordare che, nell’intento di rilanciare il partenariato tra l’Unione e gli Stati, per la crescita economica, l’incremento e il miglioramento qualitativo dell’occupazione, il Presidente della Commissione ha dichiarato, il 25 gennaio scorso, la sua aperta ambizione di avere in Europa sia «Università eccellenti», che lavoratori dotati di istruzione e formazione più alta.

Nella relazione presentata quel giorno, il messaggio è esplicito. I leader europei sono chiamati ad assumere, all’inizio dell’incombente primavera, decisioni importanti, tra cui sono prioritarie quelle inerenti l’educazione e la ricerca.

Si afferma infatti che:

«Gli investimenti nell’istruzione superiore dovranno arrivare nel 2010 al 2% del Pil, rispetto all’attuale 1,28 e si dovrà provvedere ad eliminare gli ostacoli perché le Università possano ricevere finanziamenti privati complementari».

Ogni Stato dovrà definire con precisione l’entità delle spese in Ricerca e Sviluppo per il 2010.

A Ricerca e Sviluppo si dovrà destinare il 25% degli aiuti di Stato e dei contributi dei fondi strutturali.

E ancora: «dovrebbe divenire una realtà l’Istituto europeo di Tecnologia».

Dopo aver spinto vigorosamente l’Unione, contro le isolate resistenze del nostro Governo, a creare l’European Research Council (un po’ sul modello americano della National Science Foundation) per la ricerca di frontiera, fantasy driven, Barroso si impegna ora, nonostante le riserve inglesi, perché sia creato quell’Istituto europeo di tecnologia su cui si è ormai sviluppata un’ampia consultazione fra i Rettori europei.

Giusto due giorni or sono, pur facendo slittare lievemente la tempistica inizialmente prevista per l’entrata in funzione di tale Istituto, la Commissione ne ha poi proposto apertamente la creazione al Consiglio europeo, con l’obiettivo di ricomporre “i tre lati del triangolo della conoscenza, istruzione, ricerca e innovazione”. Il Presidente Barroso ha quindi dichiarato, il 22 febbraio scorso, che l’Istituto europeo di tecnologia sarà “un’organizzazione leggera e flessibile, che oltre ad esser un luogo di apprendimento per laureati e studenti di dottorato, sarà anche un luogo di ricerca e di innovazione, sia in settori strategici specifici, sia nel campo della scienza e nella gestione dell’innovazione”.

E’ un tema di grande interesse, per la città di Genova, che potrebbe diventare, quanto meno, un terminale importante del progetto.

Se Barroso brillante politologo lusitano ho avuto modo di conoscerlo attraverso i suoi scritti, il Barroso innovativo Presidente della Commissione europea ho avuto modo di incontrarlo a Glasgow, nell’aprile dello scorso anno, mentre rintuzzava efficacemente le sciatte critiche rivolte alla sua proposta di creare l’Istituto europeo di tecnologia; critiche straordinariamente simili a quelle piovute, nel nostro Paese, sul progetto – ormai divenuto realtà – che riguarda Genova.

Desidero qui esprimere il mio vivo ringraziamento al Presidente Barroso, per il suo impegno a rilanciare la scienza e la tecnologia del Continente, attuando nei fatti quell’ “autentico spazio europeo” della ricerca che delineava il suo Predecessore nella Prolusione genovese di due anni fa.

Qualche segno pare incoraggiante e gli ultimi dati indicano che va rallentando la fuga dei cervelli verso gli Stati Uniti, anche se i posti di lavoro, nel settore della ricerca, sono ancora pochi rispetto ai nostri competitori internazionali.

Il riconoscimento dell’importante sforzo a favore della scienza e della tecnologia europee fa pienamente parte, accanto agli illustrati meriti culturali e all’alto impegno istituzionale, della motivazione con cui la Facoltà di Scienze politiche ha deciso di conferire la laurea honoris causa a José Manuel Durão Barroso, nella convinzione che egli saprà mantenere l’impegno assunto nei confronti dei giovani europei, una folta rappresentanza dei quali l’attende, tra poco, a Palazzo Doria Spinola, per festeggiarlo.

Grazie Presidente, personalmente e a nome dell’Università di Genova, le auguro buon lavoro.

Adriano Giovannelli


Ultimo aggiornamento 25/03/2019