Il primato della politica. Cavour, Giolitti e la Governance dell'Italia liberale

di Alberto Giordano (Genova, Genova University Press, 2018)

Copertina del libro Incentrandosi su uno studio comparativo dell'operato politico di Cavour e Giolitti in relazione a questioni fondamentali quali la concezione del liberalismo, il rapporto Stato-mercato e la gestione della finanza pubblica, Il Primato della Politica colma una significativa lacuna storiografica e, al tempo stesso, propone una chiave di lettura per nulla proclive al luogo comune di una "stagione cruciale per la costruzione delle istituzioni italiane"(p.18).

Sebbene, infatti, come l'autore non manca di rilevare, una cospicua letteratura sia stata dedicata a ciascuno dei due statisti isolatamente considerato, assai minor interesse, curiosamente, sembra aver suscitato la possibilità di istituire un raffronto fra loro. Di fatto, anzi, osserva Giordano (p.18), di un tale parallelo "a lungo è stata negata persino la legittimità". Paradigmatica, al riguardo, la posizione di Einaudi, per il quale un accostamento fra Cavour e Giolitti non poteva che risolversi a tutto vantaggio del primo (in cui, si legge in un celebre passo citato a p. 17,"si cumulavano l'intuito fulmineo del politico, la conoscenza dell'economista teorico, la pratica dell'imprenditore di cose economiche concrete") e a tutto detrimento del secondo ("quel primo ministro che [...] ha saputo mantenere immacolata la verginità del suo spirito da ogni contatto con la scienza scritta sui libri", p.17). E, peraltro, neppure l'autorità di Croce, che di Giolitti nutriva un'opinione alquanto più generosa, è bastata a scongiurare una tenace vulgata storiografica secondo cui Cavour e Giolitti rappresenterebbero, rispettivamente, "l'apogeo e la decadenza dei principi ispiratori la classe dirigente post-unitaria"(p.143). Al fine di correggere tale “'strabismo' filo-cavouriano non suffragato da solidi dati empirici” (p.143), Giordano impegna un fitto confronto con una molteplicità di fonti (dagli atti parlamentari agli epistolari), dispiegando un'analisi sofisticata che, persuasivamente e con il sostegno di solide argomentazioni, identifica la principale linea di continuità tra i due statisti nella comune “consapevolezza dei risvolti politici delle scelte economiche e, talvolta, la subordinazione delle seconde ai primi”(pp. 143-144), nonché nella correlata convinzione che “il ruolo della politica non potesse ridursi a mera creazione della cornice giuridico-istituzionale adatta alla libertà economica” (p.84). Un ulteriore trait d'union fra l'esperienza cavouriana e quella giolittiana è altresì rappresentato dal perseguimento, sia pure nella diversità di contesti e approcci, di una strategia inclusiva e stabilizzatrice tesa all'”allargamento delle basi sociali del consenso e all'immissione di forze nuove sull'arena pubblica”(p.105) e sorretta dalla convinzione che “inserire gli homines novi all'interno delle istituzioni significava anche placarne gli spiriti iconoclasti e moderarne le pretese, irrorando lo Stato liberale di una nuova linfa”(p.107).

Entrambe le linee sopra richiamate si saldano nel riconoscimento della “funzione mediatrice della politica”(p.144), intesa come capacità di operare sintesi fra istanze contrapposte e di “assumere decisioni che possono temporaneamente derogare ai principi teorici cui si ispirano […] sempre che lo facciano in vista di consolidare e liberalizzare la società”(p.84). Una prospettiva, quest'ultima, che, sia detto di sfuggita, non ha un mero interesse storiografico ed antiquario, bensì investe temi e problemi (fra tutti, il rapporto Stato-mercato nel quadro di istituzioni liberali) che, com'è noto, non cessano di riguardarci.

 

Luca Malagoli
Dipartimento di Giurisprudenza
 
 
Tags