Umberto Eco: regalare un futuro

Umberto Eco: regalare un futuro

Umberto EcoAncora incredulo per la sua scomparsa improvvisa, chi è stato allievo di Umberto Eco, chi si è formato alla ricerca nei suoi seminari, nei suoi corsi universitari, nei dialoghi durante i convegni o nei colloqui di tesi, si chiede come spiegare l’insieme della personalità, delle passioni, del lavoro di Eco e l’ampiezza dei suoi studi. Da una parte rigore, precisione e metodo in ogni analisi ma unite all’entusiasmo e alla curiosità inesauribili per la scoperta di argomenti di studio affascinanti ed eclettici (come le lingue perfette filosofiche o le tradizioni cabalistiche ed ermetiche) che però, affrontati con la sua ampiezza di visione, diventano oggetti d’analisi inaspettatamente fruttuosi per la ricerca semiotica. Dall’altra, capacità di costruzione teorica retta da appassionata volontà di trovare i fondamenti di un sistema e di un metodo che si mostrino utili prima di tutto a conoscere e capire i fatti tradizionali della riflessione filosofica (come funziona la conoscenza umana?), e fatti tipici della società contemporanea (come funziona una società basata sulla comunicazione?). Nato alla ricerca come filosofo specialista di Tommaso d’Aquino e di estetica medievale, negli anni ’60 Eco diventa regista alla RAI, e subito scopre le particolarità estetiche e linguistiche dei nuovi mezzi di comunicazione di massa. Da lì corre alle estetiche d’avanguardia, e subito a quell’intreccio di linguistica, strutturalismo, teorie della comunicazione che tra anni ’60 e ’70 promette di diventare scienza in grado di spiegare l’insieme dei fatti umani e sociali a partire da concetti in quel momento del tutto nuovi come la comunicazione e la teoria della narrazione, e che si concretizza realmente proprio grazie al suo impulso, complici Roland Barthes e Greimas, con la creazione della semiotica. A questo progetto scientifico Eco partecipa fin dal primo momento, e non lo abbandonerà mai, portandone in fondo tutte le conseguenze di indipendenza intellettuale e di libertà dai luoghi comuni correnti che ha trasmesso nel codice genetico di tre generazioni di studiosi formati alla sua scuola.

Nella semiotica Eco fonde lo strutturalismo con la teoria della conoscenza di Peirce, e questo gli permette di esaminare con la stessa acutezza, e lo stesso entusiasmo, la teoria della percezione delle immagini in Kant e gli abbagli di Marco Polo quando descrive l’unicorno, mentre inseguendo altre sue passioni colleziona volumi seicenteschi, interviene in dibattiti politici contemporanei, esplora fondi marini e musei scientifici trascurati, con la stessa erudizione appassionata che gli permette di inventare le grandi narrazioni inaugurate da Il Nome della Rosa.

Se la semiotica è lo strumento scientifico che Eco trasmette agli studiosi che lo seguono, due sono però i regali per il futuro che fa a tutti gli studiosi più giovani. Uno è la nuova casa editrice indipendente fondata nel 2015, buttandosi fervidamente all’età di 84 anni nell’impresa di abbandonare i suoi editori tradizionali passati sotto il controllo di grandi concentrazioni aziendali. L’altro è l’esempio di fiducia e di rispetto intellettuale che ha sempre avuto verso i giovani studiosi, magari appena laureati, quando ha affidato loro la scrittura di saggi in prestigiose riviste o quando in tutti i convegni si è sempre seduto in prima fila con il taccuino e la penna in mano ad ascoltarne gli interventi dall’inizio alla fine, e nel caso ponendo loro obiezioni e domande da collega a collega. Da questa storia viene il riconoscimento in una koiné comune più forte di ogni localismo che caratterizza oggi in tre continenti chi si è formato nella sua semiotica, e l’immagine indimenticabile di Eco seduto nell’atrio della sua Scuola Superiore di Studi Umanistici a Bologna, al termine della festa per i suoi 80 anni, attorniato da giovani dottorandi, ricercatori, ed ex-allievi che conversano con lui della vita di ciascuno di loro, delle scoperte che hanno fatto, di idee che hanno avuto da poco, in una rispettosa confidenza e stima che pochi maestri sono stati davvero in grado di guadagnarsi.

Roberto Pellerey
Dipartimento di Scienze della formazione
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