Chi ha paura della maternità?

Chi ha paura della maternità?

di Sandra Morano


Copertina del libro È con vero piacere che vi presento il libro di Sandra Morano “ Chi ha paura della maternità?“, un libro ricco, non facile, scritto in maniera insolita, rapsodica dice Luciano Vettore (Past President della Società italiana di pedagogia medica) autore della prefazione.
L’autrice ci narra di gravidanze che sembrano diventare malattie, di parti medicalizzati, di donne deresponsabilizzate prima della nascita e bruscamente abbandonate dopo la nascita.
Un approccio che sembra voler ostacolare invece che aiutare un cammino di crescita e maturazione personale della donna, in un percorso in cui gravidanza, parto e nascita sono tappe così importanti e peculiari, un’opportunità evolutiva che si declina nel femminile con caratteristiche così uniche.
Le italiane sono al secondo posto nel mondo per numero di parti cesarei, dice Sandra, quali sono le ragioni delle donne?
La ragione più comunemente addotta è il dolore, il dolore del travaglio…
Ritorna la parola travaglio, lavoro, ritornano le parole del vocabolario che usiamo quando pensiamo a vicende generative e creative.
Il lavoro della messa al mondo è faticoso, doloroso… appare minacciosa sullo sfondo l’imprescindibile esperienza che caratterizza il destino degli esseri umani, che li fa crescere, evolvere, ma anche li limita, la separazione. Separarsi è doloroso, faticoso appunto, a volte drammatico. Vivere, rivivere l’esperienza sconvolgente della propria nascita portatrice di vita ma anche di morte. Può morire la mamma, può morire il bambino, muore in ogni caso l’esperienza precedente unica di avere dentro di sé un altro essere umano, di non sentirsi più sola, come ogni donna non sperimenterà mai più nel corso della propria vita, se non con un’altra gravidanza.
Potersi permettere di vivere tutto ciò sarebbe un tesoro prezioso per la madre e il bambino.
Il bambino, per poter sopravvivere mentalmente e fisicamente, ha un bisogno assoluto di aiuto e può trovarlo soprattutto in chi è passato, un tempo, attraverso la stessa esperienza e non ha troppa paura di riviverla per poter diventare capace di comprenderla pienamente e di accedere a un senso condiviso.
Parliamo nuovamente di madri, parliamo di donne.
Donne che oggi sarebbero sempre più orientate ad evitare questo percorso, a chiederlo per lo meno facilitato , attratte dall’offerta medica che può garantire parti senza dolore, parti non parti, dove la vicenda naturale della nascita viene imbrigliata e coartata, trasformata inopinatamente in una vicenda medica e/o medicalizzata, privata e/o depauperata della sua travolgente potenza emotiva, addormentata, silenziata.
Nel secolo scorso continua Sandra: “la creatività delle cure è stata messa in difficoltà in molte sue espressioni, il passaggio troppo drastico all’anomia dei ricoveri nosocomiali sembra aver danneggiato parte del potenziale salvifico della scienza . Ha salvato vite di donne e bambini, ma ha costretto il venire al mondo in spazi e tempi agli antipodi dell’espressione creativa, governati da regole disumanizzanti, tanto da rendere necessarie successive drastiche modifiche.”
“Nel secolo scorso c’è stata la consegna della natività alla medicina, oggi la medicina della riproduzione, la medicina fetale rappresentano le ulteriori frontiere del progresso che, dedicate per fortuna a un piccolo numero di donne e di bambini, sembrano però avere la potenzialità di in-formare, ingabbiare tutta la popolazione femminile. […]” sono sempre parole di Sandra.
Penso a una bambina che nasce, portatrice dell’angoscia di perdita di sé, portatrice della percezione di avere uno spazio cavo, aperto verso l’esterno, un foro attraverso cui i contenuti possono defluire e i pericoli esterni penetrare. Un’anatomia, quella femminile, che ovviamente non costituisce di per sé un ostacolo all’evoluzione ma che, forse, può diventare tanto facilmente un luogo mentale dove vanno ad ancorarsi angosce massicce che si oppongono all’evoluzione stessa. (Micati 1988).
Sto pensando ancora una volta a una donna esposta ad esperienze che comportano il rischio di vita per sé e il proprio bambino, una donna che quindi, inevitabilmente, ha paura. Oggi, dice Sandra, ancora più paura.
Una donna allora che, dovendo affrontare qualcosa di cui ha paura, cerca di sminuirla, ma che così facendo sminuisce anche se stessa che non può fare a meno di provarla, e che tenendo così in sottotono le proprie esperienze tiene anche in sordina le qualità psichiche che se ne sviluppano, per esempio l’accettazione consapevole che ogni vicenda creativa e maturativa comporta dei rischi, ripropone inevitabilmente l’entrare in contatto con perdita, separazione, morte.
Continuando a riflettere mi sembra che un’apertura e un sollievo possano venire dalla possibilità di pensare a una coppia, una coppia madre-bambino che non resti imprigionata in questa vicenda di odio e di amore, di vita e di morte, ma che si possa aprire a un terzo che introduca nuove possibilità di pensiero e comunicazione, un terzo disponibile ad accogliere su di sé parte delle angosce e delle paure primordiali e che si faccia garante di una più libera circolazione dei sentimenti. Un padre che faccia spazio nella sua mente alle angosce di fallibilità della madre e all’odio della madre per la creatura che la porta a vivere tali sentimenti, un’ostetrica che prenda su di sé l’odio per la madre che, mettendoci al mondo femmine, ci ha costretto a vivere tale condizione e infine a un ginecologo disponibile a condividere i rischi mortali della nascita alla vita.
Credo che il lavoro di Sandra di cui il libro è, potremmo dire, l’ultimo nato, dimostri che è possibile restituire creatività alla generatività e che la creatività può essere generativa. Questo può avvenire a patto di favorire una comunicazione interna ed esterna quanto più possibile aperta alla comprensione e al contenimento, dove la presenza interna ed esterna del terzo si fa garante della tollerabilità umana, apportando creativamente soluzioni, modifiche, cambiamenti.
Il mio pensiero ritorna inevitabilmente alla tessitura, tessitura a più mani.
Adrienne Rich negli anni ‘70 pensava a un futuro in cui le vite di donne e di bambini potessero essere ritessute da mani femminili, dentro a un’istituzione, aggiungo io, che possa diventare accogliente e valorizzante il coraggio che ogni donna possiede e che ha diritto di sperimentare di possedere, un’istituzione favorente l’espressione di passione e tenerezza nella cura costante di un’ altra vita umana.
Penso a un’altra creatura di Sandra, la Casa del Parto, casa anche psicologica per mamme, papà, neonati, fratelli, sorelle, per i loro legami, le loro emozioni, i loro sentimenti.

La casa di maternità è attiva a partire dal 2001 presso l’Unità Operativa di Ostetricia dell’Azienda Ospedaliera S. Martino di Genova, è la prima istituita in Italia.

Anna Maria Risso
Dipartimento di Neuroscienze, riabilitazione, oftalmologia, genetica e scienze materno-infantili (DINOGMI)
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