Il premio Nobel: una meta difficile per le donne

Il premio Nobel: una meta difficile per le donne

In 111 anni, dal 1901 al 2011, le donne laureate con il Nobel sono state quarantaquattro: sedici per le discipline scientifiche, una per l'economia, dodici per la letteratura, quindici per la pace.
In linea di principio una distinzione di genere sarebbe inopportuna: nell'ambito della produzione intellettuale e scientifica come nell'azione politica le divisioni per genere, nazionalità, religione, etnia o orientamento sessuale non dovrebbero neppure essere prese in considerazione. Leggendo queste cifre, però, una riflessione, o quanto meno una segnalazione, diventa necessaria. Il premio Nobel è stato consegnato complessivamente 549 volte a un totale di 833 persone e a venti organizzazioni: le quarantaquattro Nobel rappresentano dunque il 5% degli scienziati, degli scrittori e delle personalità politiche che sono state premiate a Stoccolma e a Oslo. Se consideriamo esclusivamente gli ambiti scientifici, la percentuale diminuisce ulteriormente rispetto a questa media generale: per la chimica le donne rappresentano lo 0,1%; per la fisica il 2,5%; per l'economia vi è un'unica donna, Elinor Ostrom, docente alla Indiana University e laureata nel 2009, su un totale di 69 Nobel in questa disciplina; per la medicina, infine, le donne rappresentano lo 0,5%.
Il peso (se così si può chiamare) delle donne aumenta nella letteratura (11%) e tra gli insigniti del Nobel per la pace (14%).
Si potrebbe obbiettare che percentuali calcolate su tutto l'arco della storia del premio Nobel siano fuorvianti, perché non terrebbero conto del lento – direi lentissimo – procedere delle scienziate, delle scrittrici e delle politiche nel cammino verso uno dei massimi riconoscimenti dell'eccellenza a livello mondiale. Non è così. Benché si possa rilevare un certo incremento della presenza delle donne dalla caduta del muro di Berlino a oggi (21 premi Nobel, quindi quasi il 50% del totale negli ultimi 23 anni), questo premio ha avuto un buon inizio sotto il profilo della presenza femminile. Si è iniziato già nella terza edizione del premio (1903), con il Nobel per la Fisica a Marie Curie, nata Sklodowska, che lo riottenne nel 1911 per la chimica e che per pochi mesi fu privata della gioia di vedere la figlia Irene premiata nel 1935, sempre per la chimica, dopo la morte della madre. La svedese Selma Lagerlöf venne insignita del Nobel per la Letteratura nel 1909 e nel 1905 la baronessa cecoslovacca Berta von Suttner fu la prima donna a ricevere il Nobel per la pace: segnali che promettevano, nell'epoca della maturità del movimento per il suffragio femminile, una importante presenza delle donne ai massimi livelli della scienza, della letteratura e della politica. Ciò non è accaduto, nonostante che il Nobel, con le sue esclusioni talvolta clamorose e le sue scelte spesso discusse, sia anche lo specchio dei tempi e un indicatore di tensioni e di aspettative politiche contingenti: di conseguenza, oggi dovrebbe essere più sensibile alla nuova visibilità delle donne.
Una lettura dei profili delle Nobel nel corso del tempo (lettura peraltro rapida, considerando l'esiguità del campione), mostra comunque un adeguamento del premio ai nuovi attori politici e sociali femminili. Si attenua infatti la presenza di donne visibili perché compagne di uomini importanti (e che ricevevano il premio come parte femminile di una coppia), per lasciare spazio a scienziate che si affermano singolarmente (pensiamo a Rita Levi Montalcini, 1986) o all'interno di gruppi di ricerca finanziati dalle loro istituzioni. Nel caso del Nobel per la pace, le donne della élite europea, come la citata baronessa von Suttner, o Alva Myrdal (1982), scrittrice, diplomatica e moglie del premio Nobel per l'economia Gunnar Myrdal (1974), hanno ceduto il passo ad altre figure simboliche, come Rigoberta Menchu Tum (1992), o Wangari Muta Maathai (2004), prima donna del Centro ed Est Africa a conseguire un dottorato, o le recentissime Nobel per la pace 2011, Girleaf (Liberia), Gbowee (Liberia) e Karman (Yemen).
Se le Nobel per la pace si stanno distribuendo in ogni angolo del mondo e le Nobel per la letteratura rappresentano anche paesi al di fuori dell'Europa e degli Stati Uniti, ma pur sempre nel mondo occidentale, per ottenere un Nobel nelle aree scientifiche continua ad essere importante la scelta del paese in cui fare ricerca.
La breve lista delle Nobel in Fisica, Chimica e Medicina (sedici in tutto) ci dice che è stato possibile ottenere risultati di eccellenza lavorando nel paese di nascita a cinque statunitensi, due francesi, una tedesca e una israeliana; per le rimanenti, i risultati sono stati ottenuti emigrando dai loro paesi verso gli Stati Uniti. A questo livello l'appartenenza di genere, pur importante, diventa meno dirimente. La lista completa dei Nobel mostra non solo il confine ancora invalicabile tra i cosiddetti primo e terzo mondo, ma anche una sostanziale differenza all'interno dei paesi europei, con la prevalenza, nell'ordine, di Regno Unito, Francia e Germania. Per quanto riguarda l'Italia, sappiamo tutti quale sia la situazione. In questa gara numerica il nostro paese è in una posizione intermedia, con 19 Nobel, al pari della Svezia. Ad eccezione dei Nobel per la letteratura, però, gli Italiani hanno raggiunto questo ambitissimo riconoscimento emigrando all'estero, soprattutto nel periodo delle due guerre a seguito delle leggi in difesa della razza, ma anche nel secondo dopoguerra, come il genovese Riccardo Giacconi, premio Nobel per la Fisica nel 2002, emigrato negli Stati Uniti nel 1956. Una tendenza che non abbiamo gli strumenti per cambiare.

Chiara Vangelista
Comitato per le Pari Opportunità
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