«Fortuna defuit, non virtus»

«Fortuna defuit, non virtus»

La squadra UNIGE eliminata ai quarti di finale del torneo provinciale di calcio a 5


Le squadre prima della partitaLVGETE, O VENERES CVPIDINESQUE, scriveva Catullo, riecheggiando Gianni Brera (o viceversa?). Piangete, o Veneri e Amorini dal culetto ignudo: la squadra del GENVENSE ATHENAEVM dà l’addio al campionato provinciale di calcio a 5. Esce ai quarti di finale come l’Aretino Pietro, con una mano davanti e l’altra dietro, ma meritava di più.
Dopo aver eliminato il team di «Unicredit», abbiamo perso 5 a 2 contro «GenovaRent». Abbiamo creato la bellezza di 6 palle-goal all’inizio del I tempo. Dopodiché, gli avversari ci han segnato il primo goal, uccellandoci (vocabolo caro al Boccaccio). E purtroppo, dopo il primo, ce ne hanno rifilati altri 4. Eppure, i nostri LEONES parevano il grande Torino in azzurro (quello che il 16 maggio 1948 perse 4 a 0 con l’Inghilterra).


Immaginate una dama che, dovendo scegliere fra un maschio bello e intelligente ed uno brutto e stupido, scelga quest’ultimo. «Ma cos’è, scema?» No, ragazzi: è la dea Pallade, signora delle palle e dei palloni. E siccome la Palla è rotonda, rotola dove vuole, e non sempre va dove dovrebbe. Stavolta, la signora Pallade ha premiato gli incapaci, gli immeritevoli: i nostri avversari.
Del resto, quando una squadra si squilibra e si sbilancia, giocando spensieratamente all’attacco, porge il fianco (o meglio, il tergo ignudo) alle ripartenze, ai contropiedi, ai siluri del nemico. Come dice l’inno dei sommergibilisti: «Parte il siluro, attenti al… lupo!» Gli avversari hanno aspettato che i nostri si stancassero; poi li hanno castigati.
Una partita di calcio non è un match di boxe. Sul ring si può vincere ai punti; nel calcio, no. Cinque quasi-goal non valgono quanto un goal vero: sia esso un «golazo» (in ispanico, un gran goal) o un «gollonzo» (cioè un goal del cavolo). Abbiamo subìto 5 «gollonzi». Coach Sante, l’allenatore Santeramo, ha rischiato l’infarto del miocardio almeno 5 volte.


Comunque, usciamo dal torneo a testa alta: FORTVNA DEFVIT, NON VIRTVS. Traduco: VIRTVS, ne avevamo da vendere, ma non abbiamo avuto FORTVNA. E siccome in latino VIRTVS e VIRILITAS hanno la stessa etimologia, i nostri han dimostrato di avere più palle degli avversari (parlo di palle-goal, ovviamente).
«Chapeau»! Tanto di cappello ai nostri LEONES, generosi e sfortunati: al presidente Luca Simetti, che nella vittoria finale ci credeva e ci sperava; a Mirko Murgia, il sardo-genovese, capitano non giocatore (causa infortunio); al Coach Sante, che – come Cassandra – diceva il vero, ma non era ascoltato; ai mitici portieri Fabrizio Nozza e Roby Martini; al nobile Vincenzo Mannella Vardè; a Francesco Colaianna, il nostro Cassano; a Massimo Ivaldi, a Massimo Laurato, a Massimo Parente; a Federico “Fede” Giannazzo; a Claudio Bazzurro, Francesco Sasso, Mario Bergamasco, e a tutti gli altri.


Qualcuno ripeterà le parole di Bruno Pizzul: «Peggio di così non poteva andare!» Non è vero: potevamo giocarci la mamma. E se ce la fossimo giocata (protasi di periodo ipotetico del IV tipo), ce la saremmo persa. Perciò, poteva andar peggio. Perché ci son tre cose al mondo che non si scordano: la gioventù, la mamma e il primo amore. Perché la gioventù è passata (parlo per me!), e il primo amore – come Elena di Troia – era una grande, grandissima… illusione (se non ci credete, rileggetevi Euripide, oppure Stesicoro). Perché la mia mamma, ragazzi, ne ha compiuti ottantuno e di calcio ne capisce più dei giornalisti sportivi. Ciao, mamma: guarda che, quando perdo, non mi diverto!

Leonardo Paganelli
Dipartimento di italianistica, romanistica, antichistica, arti e spettacolo
Tags